L’autodidatta, il nuovo Michelangelo, precursore di quella che è stata definita ‘Scultura Virale’. Ma chi c’é all’ombra dei tanti appellativi a lui attribuiti?
Gli occhi di Jago hanno l’inconfondibile guizzo di chi osa sognare in grande, ma le sue parole rivelano tutta la consapevolezza che inevitabilmente si acquisisce quando ci si scontra con la vita, ci si espone a rischi e si sfida sé stessi. In Jago c’é la voglia di misurarsi e di voler essere grande come i grandi del passato. Un desiderio non dettato dall’ego, ma da quel sano spirito di emulazione in cui ribolle la determinazione, la voglia di realizzare i propri obiettivi.
“In fondo le vette raggiunte da chi ci ha preceduto sono gradini su cui si può salire. Aspirare a raggiungere tali vette è il motore propulsivo che permette alle grandi cose di accadere. La mediocrità, invece, si alimenta proprio dell’impossibilità: dell’idea di non potere o non riuscire, attitudine che spesso sfocia nell’autoumiliazione, condizione nella quale nessuno avrebbe mai eccelso”.
E nello spiegarmi la sua filosofia di approccio non solo all’arte, ma alla vita di tutti i giorni, Jago ricorre ad un aneddoto storico:
“Un giorno, un giovane artista che al tempo iniziava a godere di particolare fama, venne convocato da Papa Urbano VIII che volle commissionargli la realizzazione del proprio ritratto. In quella stessa occasione il Pontefice disse ”Speriamo che questo giovinetto possa diventare il Michelangelo del proprio secolo. Parlava di Bernini”.
“La vita è ciclica, tutto si ripete e così fa anche l’arte. Ma io non voglio essere il nuovo nessuno, ambisco ad essere la migliore versione di me stesso e, se raggiungerò questo obiettivo, ad attendermi ci sarà una versione ancora migliore a cui aspirare.”
New York, Napoli e adesso Roma. La tua arte fa il giro del mondo, ma dove nasce?
“Roma è il posto dove mi sono innamorato di un linguaggio, di un’estetica, che oggi capisco e che utilizzo. È li che nasce la mia passione”.
“Sono cresciuto nei luoghi della tradizione, abituando l’occhio ad un certo tipo di arte in cui poi mi sono riconosciuto. Se oggi faccio quello che faccio é perché porto nel cuore determinate immagini e quelle immagini io le ho viste dal vivo a Roma. Poi la mia idea di casa e di arte l’ho portata a New York e dopo ancora a Napoli”.
Il tuo stile artistico ha avuto grande appeal persino tra tuoi coetanei, cosa ha determinato il raggiungimento di una tale notorietà?
“Io non mi rivolgo a chi si occupa di arte. A dire il vero, non so nemmeno cosa significhi la parola ‘Arte’. A causa di usi impropri si è svuotata di ogni significato”.

JAGO at Al Haniyah ph. 528Design
“A me interessa la comunicazione, e credo che questa non possa prescindere dal capire chi si ha davanti. Nella comunicazione l’altro viene prima e per potervi arrivare è necessario saper ascoltare. Inutile voler trasmettere qualcosa in una lingua che non può essere capita. Quindi per me comunicare significa prima di tutto saper veicolare le emozioni. L’obiettivo è fare breccia nell’emotività altrui, ma per farlo bisogna essere come degli angoli acuti o una freccia schioccata mirando ad un punto ben preciso. Si tratta di creare la giusta ricetta attraverso la quale riuscire a trasmettere. Una ricetta che, se spogliata del contenuto artistico, può essere utilizzata e seguita da chiunque per ottenere gli stessi risultati. In fondo vale così per tutti: si utilizza un’idea, da questa si costruisce un sistema che poi crea opportunità per gli altri, il tutto mentre ci si occupa di sé stessi”.
“Non mi definisco molto diverso da un qualsiasi imprenditore. Ad esempio, cosa ha in comune il gesto dello scolpire con il rischio d’impresa? Ogni colpo che dai sul blocco di marmo è anche l’ultimo e per questo va fatto con grande coscienza, sapendo che c’è stato un costo, che c’é stato bisogno di un luogo dove poter realizzare quell’opera, che quell’opera deve essere trasportata e assicurata. Come si definisce tutto ciò se non imprenditoria? Forse per questo arrivo a persone diverse, anche a chi non si occupa di arte, perché intercetto una modalità di approccio comune a tutti”.
Lookdown, l’opera prima installata in piazza del Plebiscito a Napoli e ad oggi posizionata nel deserto Al Haniyah di Fujairah, effettivamente coinvolge l’animo di tutti i visitatori che diffidenti o incuriositi ne scrutano i dettagli scultorei.
Il bambino marmoreo dorme rannicchiato su se stesso, ma dalla pace del suo sonno sembra quasi fuoriuscire un grido di afflizione, fragilità ed innocenza, come un monito rivolto all’umanità, spesso indifferente alle condizioni degli “ultimi” della società. Eppure, osservando l’installazione, vi è un momento in cui il turbamento e la contrizione scatenati da quell’immagine lasciano il posto ad un’incredibile quiete: in una spianata desertica c’é un bambino che dorme indisturbato, protetto dall’abbraccio delle montagne ed avvolto in un solenne silenzio.
Perchè tra tante possibili scelte alternative hai deciso di posizionare la tua opera “Lookdown” proprio nel deserto di Fujairah?
“Fujairah è arrivata nella nostra vita per una dimensione progettuale che si esprimerà”, dice Jago sorridendo e lasciando la frase avvolta in un pò di mistero. “Quindi la teniamo in questa bolla”, prosegue.
“La mia prima volta negli Emirati è stata proprio a Fujairah. Quando vai in un luogo che non conosci può capitare di scoprire cose incredibili. Ci si innamora del posto, delle persone, di coloro i quali hanno preso parte alla tua avventura e così si mette in moto la creatività. Io lavoro con le idee e quando si fanno esperienze, queste inevitabilmente emergono. A Fujairah è successo qualcosa e quel qualcosa ha creato. Ecco perché quel bambino è lì, perché quello era il posto giusto. Inoltre ho apprezzato l’intelligenza e la lungimiranza del governo locale nel capire l’importanza dell’investimento culturale.
”Per me l’aspetto più bello resta comunque quello di aver creato un punto di contatto tra due luoghi lontani”.

Khaseibah_native from Al Haniyah desert ph. by 528Design
Fino a quando Lookdown rimarrà esposta nel deserto di Fujairah? E quale sarà la prossima tappa espositiva?
“Sicuramente per un pò, poi…. vediamo!”
Dunque aprite google maps, inserite le coordinate 25°22’08.6″N 56°02’57.7″E e lasciatevi accompagnare lungo la strada dai monti Hajar, dalle verdissime distese di palme, dalla terra rossa del deserto arabico.

La cultura araba per gli splendidi minareti, la poesia senza tempo e gli innumerevoli luoghi di contemplazione. La corsa, per la dannata fatica che porta soddisfazione. Il cibo -montagne di cibo- perché avvicina e “fa casa” ovunque si è. I viaggi, per quel senso di non appartenenza a nessun luogo che sa di libertà. E poi scrivere, da sempre. Dopo una Laurea in Relazioni Internazionali, un Master in Business ed un’esperienza al Ministero degli Esteri, arriva a Dubai per un tirocinio di tre mesi, opportunità che ha aperto le porte ad una nuova e ben più lunga avventura.