Le operazioni cominciano al mattino presto, con i meteorologi che monitorano le nuvole. Una volta individuate le perturbazioni giuste, ovvero quelle cumuliformi, si procede. I Beechcraft King Air C90 a due eliche decollano dall’aeroporto di Al Ain (posizione geografica migliore per raggiungere le perturbazioni) e si posizionano vicino alla nuvola, per “sparare” al loro interno piccoli razzi contenenti cristalli di sale. Avviene così il cosiddetto Cloud Seeding o meglio “Hygroscopic Cloud Seeding” (in italiano “inseminazione”o “semina” delle nuvole). In parole povere, le minuscole particelle di sale inseminate nelle nuvole “appesantiscono” le goccioline di vapore acqueo contenute nelle nubi stesse, aumentando la possibilità di precipitazioni. Dopodiché non resta che attendere e sperare che piova.
Gli Emirati stanno investendo in ricerca per la cosiddetta “modificazione del clima” dal 1990 (è addirittura in fase di studio una sorta di catena montuosa artificiale per attirare le perturbazioni) e da gennaio 2015 viene regolarmente applicato il procedimento descritto sopra, studiato per la prima volta dal meteorologo e chimico Vincent Schaefer (1906–1993), primo a scoprire il principio, nel 1946, durante una scalata sul Monte Washinghton (nello stato di New York).
In un Paese come questo, con un tasso annuo di precipitazioni di circa 100 mm, un’elevata evaporazione delle acque superficiali e una progressiva riduzione delle riserve di acque sotterranee, si comprende come mai si investa tanto sulla semina delle nubi. Non solo, con una popolazione in rapida crescita che dovrebbe raggiungere i 10,4 milioni di persone entro il 2020, rispetto ai circa 9 milioni di oggi, gli Emirati Arabi sono sotto pressione per trovare metodi più economici di approvvigionamento di acqua dolce rispetto alla tradizionale desalinizzazione del mare.
Anche per una questione di costi: secondo alcuni dati forniti dall’International Desalination Association (IDA), un impianto comune di desalinizzazione su larga scala che produce circa 100.000 metri cubi di acqua al giorno (sufficiente a servire circa 300.000 persone), ha un costo di circa 100 milioni di dollari, pari a 1 milione di dollari ogni 1000 metri cubi. Per non parlare dell’impatto ambientale: consumo spropositato di energia e minaccia per la vita marina dovuta all’alterazione della concentrazione di sale.
Al contrario, il Cloud Seeding – anche se numeri aggiornati non sono stati resi noti – avrebbe un costo decisamente più basso, sarebbe addirittura 60 volte più economico, secondo il National Centre of Meteorology: se desalinizzare 1 metro cubo di acqua costa circa 60 dollari, la stessa quantità di acqua estratta attraverso la semina delle nuvole costa solo 1 dollaro. E la semina delle nubi ha un impatto minimo o nullo sull’ambiente, in quanto utilizza sali naturali e non prodotti chimici o artificiali. Certo, i risultati non sono così immediati e tantomeno sicuri: sempre secondo il National Centre of Meteorology, l’inseminazione può aumentare le precipitazioni fino al 30-35% in una “atmosfera pulita”, ma qui la percentuale si abbassa un po’a causa di polvere, sabbia e smog.
Ma che arrivi o meno la pioggia, l’inseminazione delle nuvole solleva sempre accesi dibattiti, sia da un punto di vista etico (è lecito forzare la natura?) sia perché non si conoscono a fondo quali ripercussioni ci possano essere realmente, a lungo termine, intervenendo su un sistema così complesso come la meteorologia. Chi l’appoggia sostiene appunto che, sul lungo periodo, sia meno dispendiosa della dissalazione dell’acqua del mare, che utilizza al momento ben il 20% dell’energia della regione oltre ad avere un impatto pesantissimo sull’ambiente (gli Emirati stanno comunque lavorando anche su impianti di dissalazione che utilizzino il fotovoltaico ed energie pulite). Ma ci sono anche tanti detrattori del Cloud Seeding, primo tra tutti Peter Gleick, fondatore del Pacific Institute in California ed esperto mondiale di acqua, che sottolinea come negli ultimi 60 anni le tecniche di modificazione del clima non abbiano assolutamente funzionato e che siano più utili, al contrario, strategie solide e affidabili per la gestione dell’acqua. In altre parole, se l’oro blu nel deserto non c’è, forzare la natura non è proprio possibile.
Per chi desidera approfondire, questo servizio della BBC documenta un’operazione in diretta.

Elisabetta Norzi arriva a Dubai nel 2008. Nata e cresciuta a Torino, dopo una laurea in Lettere Moderne si trasferisce a Bologna per un master di specializzazione in giornalismo. Qui conosce la realtà dell’associazionismo emiliano e decide di occuparsi di tematiche sociali. Entra nella redazione dell’agenzia di stampa Redattore Sociale, collabora per il Segretariato Sociale della Rai e per il gruppo Espresso-Repubblica. Giramondo per passione, comincia a scrivere reportage come freelance con un servizio sulla Birmania durante la “rivoluzione zafferano”, ripreso dalle principali testate e televisioni italiane. Dopo diversi anni come corrispondente da Dubai (Peacereporter, Linkiesta), fonda Dubaitaly.