Uno dei motivi per i quali gli “expat”, soprattutto occidentali, apprezzano la vita a Dubai è la sicurezza per la quale questa città è famosa. Appena arrivati, si capisce subito che ci sono telecamere e polizia in borghese ovunque e, a prescindere dalle riflessioni socio-filosofiche sul concetto di libertà che vengono automaticamente accantonate quando si sceglie di trasferirsi qui, il senso di tranquillità e protezione è forte, anche perché i giornali filtrano molto le notizie di cronaca nera, dando enfasi alle punizioni esemplari alle quali sono sottoposti gli autori di quei crimini arrivati alle orecchie dell’opinione pubblica o ai ritrovamenti di oggetti anche di valore smarriti nei mall o per strada.
In effetti una maggiore legalità, diciamo così, rispetto alle nostre grandi città qui c’è. Ciò porta a sentirsi sicuri in tutte le situazioni. I bambini da una certa età in poi vanno da soli al parco del compound o a scuola in bici, spesso si esce di casa senza chiudere a chiave la porta e così via. Insomma è come vivere in una città moderna con la sicurezza del piccolo paese della nostra infanzia.
Ogni tanto però, come è successo di recente, nel passaparola internettiano escono notizie allarmanti su tentativi di adescamento, truffe, furti, aggressioni, violenze. A volte sono bufale, a volte no. È sempre molto difficile in questi casi, a meno di conoscere le persone direttamente coinvolte, capire realmente di cosa si tratti o si sia trattato.
Come scrivevo prima i giornali filtrano molto le notizie e spesso i comunicati ufficiali sono volti a calmare gli animi fornendo informazioni minime e non dettagliate. Inoltre il concetto di protezione della privacy porta alla necessità di prestare la massima attenzione a ciò che si scrive in rete. Questo porta da un lato alla nascita di leggende metropolitane esagerate, dall’altro a una percezione eccessiva del “qui non succede mai nulla di male”.
Ora, per noi adulti, che comunque siamo cresciuti altrove e altrove abbiamo sviluppato il sesto senso indispensabile nelle situazioni di potenziale pericolo, poco male. Il peggio che può capitarci è di dimenticare di chiudere la borsa quando torniamo in patria.
Per i bambini invece il discorso è più complesso. Da un lato è molto bello che crescano sereni e fiduciosi verso il prossimo, ma a una certa età è comunque importante iniziare a introdurre, pur vivendo qui, il concetto di “stranger danger”, ovvero il nostrano “non accettare caramelle dagli sconosciuti”, e quanto ne consegue. Non solo per evitare eventuali condizioni di rischio reale che, nonostante tutto, possono presentarsi anche in questa “capsula beata” nella quale viviamo, ma anche e soprattutto per prepararli al mondo esterno, di modo che un domani, in vacanza, per studio o per trasferimento definitivo in un altro paese, non si ritrovino come pesci fuor d’acqua incapaci di cavarsela in tutte le situazioni, ma abbiano nel frattempo sviluppato pure loro il nostro “sesto senso” istintivo.
Nata a Roma, una laurea in Ingegneria meccanica biomedica, dopo una carriera in multinazionali del settore IT lavora da parecchi anni come traduttrice professionale free-lance. Ha un diploma in Interior design ed è fra le prime socie fondatrici del Club Soroptimist International Gulf-Dubai, il primo in assoluto in questa parte di mondo. Ama Dubai con tutte le sue contraddizioni, anche perché qui è nata la sua bambina ed è qui che sono stati adottati quattro dei sei gatti che compongono il suo nucleo familiare. Desidera condividere le proprie esperienze in questa città a volte stancante, ma sempre sorprendente, con gli expat, Italiani e non, che continuano ad arrivare a Dubai.