Arrivati con parecchio anticipo nel centro presso il quale si svolgerà la lezione di Kung Fu di nostra figlia, per ingannare l’attesa decidiamo di goderci l’aria di Dubai, finalmente piacevole, seduti all’aperto sui sedili del piccolo anfiteatro ombreggiato, sgranocchiando snack presi alla macchinetta distributrice.
Dopo un po’, il relax è spezzato da una voce femminile che abbaia:
“ABDUL (nome fittizio), go NOW in the Kung Fu room! The panels!”.
Ci guardiamo intorno e capiamo che una delle ragazze addette alla reception e alla gestione del centro si sta rivolgendo dalla porta-finestra parzialmente aperta all’uomo tuttofare, in quel momento impegnato a sistemare il praticello del cortile.
Nell’attimo di silenzio che segue, nostra figlia scuote la testa con un sospiro e, pescando una chip al formaggio dal sacchetto, dice a mezzavoce:
“He will NEVER listen to her because she didn’t say Please”. In effetti l’uomo sembra non aver sentito, ma si capisce benissimo anche da lontano, dalla variazione di postura della schiena, che invece ha sentito.
La donna ricomincia nello stesso tono (fra l’imperioso e il ‘segui il labiale!’):
“ABDUL, the lesson starts in 15 minutes! Kung Fu room!!”.
Lui fa il gesto di voltarsi ma non risponde.
“The Kung Fu room! G O T A K E P A N E L A W A Y!”.
Niente.
Nostra figlia, fra una chip e l’altra, riflette:
“Raising voice and not saying please… it won’t work”.
Mio marito ed io siamo troppo impegnati a rimanere immobili e seri per risponderle, sentendoci spettatori casuali e involontari della scena che però consideriamo entrambi imperdibile ed epica.
A quel punto la donna forse capisce, forse è preoccupata dei minuti che passano, forse magari ha sentito la bambina… fatto sta che muove tre passi verso di lui e inizia a spiegare con voce più gentile:
“There are panels that need to be removed in the Kung Fu room and the lesson is about to start”.
Lui, modalità paraculik-on, si leva molto lentamente la mascherina e risponde:
“I was assigned to another task”.
“But can you stop for a moment, go upstairs, remove the panels and come back? Pleeeease?”.
Nostra figlia annuisce.
Lui tira fuori il cellulare:
“I need to ask my boss”.
Su questa frase lapidaria, ricevo messaggio WhatsApp da mio marito (seduto a un metro da me): “Entriamo che qua scoppio a ridere”.
Mentre ci alziamo, loro continuano a discutere animatamente, oramai ognuno nella propria lingua, ché tanto è la stessa cosa.
Quando saliamo per la lezione, i pannelli divisori ancora troneggiano nella sala.
Un addetto arriverà dopo pochi minuti a rimuoverli (dopo averli analizzati e osservati a lungo da entrambi i lati).
Nata a Roma, una laurea in Ingegneria meccanica biomedica, dopo una carriera in multinazionali del settore IT lavora da parecchi anni come traduttrice professionale free-lance. Ha un diploma in Interior design ed è fra le prime socie fondatrici del Club Soroptimist International Gulf-Dubai, il primo in assoluto in questa parte di mondo. Ama Dubai con tutte le sue contraddizioni, anche perché qui è nata la sua bambina ed è qui che sono stati adottati quattro dei sei gatti che compongono il suo nucleo familiare. Desidera condividere le proprie esperienze in questa città a volte stancante, ma sempre sorprendente, con gli expat, Italiani e non, che continuano ad arrivare a Dubai.